San Giuseppe lavoratore: il santo dei paradossi risolti
Forse non tutti sanno che Papa Giovanni XXIII, nel momento in cui fu eletto Papa, aveva pensato di chiamarsi Giuseppe. Sì, proprio così. Voleva portare il nome del falegname di Nazareth, di colui che non parlò mai, eppure fece parlare così tanto il cuore di Dio. Anche Papa Francesco custodiva un’immagine di San Giuseppe molto tenera, forse poco conosciuta: una statuetta del santo addormentato. La teneva accanto al letto, sul comodino. Sotto quella statua metteva, piegate con cura, le lettere dei fedeli. Quelle cariche di lacrime, di problemi che sembrano irrisolvibili, di vite appese a un filo. Le affidava a Giuseppe perché “dormisse su”, come si dice quando si lascia decantare un pensiero. Ma non era solo un gesto simbolico. Era un atto di fede. Di fiducia. Di abbandono. E questo è sorprendente. Perché ci ricorda che anche quello che appare più grande di noi, anche ciò che sembra insuperabile, può trovare la sua via d’uscita se lo affidiamo. Se lo lasciamo andare. Se smettiamo di volerlo controllare. E forse, proprio nel buio, nel sonno, nel momento in cui ci sentiamo più fragili e meno attivi, Dio lavora di più. A me tutto questo fa venire in mente un paradosso, forse il più famoso della fisica quantistica: il gatto di Schrödinger. Hai presente? Quell’esperimento mentale del 1935, che racconta di un gatto chiuso in una scatola insieme a un meccanismo che può ucciderlo o no, con pari probabilità. Finché la scatola è chiusa, il gatto è contemporaneamente vivo e morto. Solo aprendo la scatola si determina il suo stato reale. Ecco, è come se la statuetta di San Giuseppe fosse quella scatola. Finché non riapriamo gli occhi, finché non “apriamo il coperchio” dopo una notte di sonno e preghiera, tutte le possibilità restano sospese. E Dio, con il suo amore creativo, elimina i finali sbagliati e lascia solo quello giusto. Quello che ci salva. Quello che ci sorprende. Perché Lui è il Dio del lieto fine. Anche quando non lo vediamo arrivare. San Giuseppe è il custode silenzioso dei nostri sogni. È l’uomo del “sì” senza parole, del lavoro silenzioso, del coraggio obbediente. Non ha bisogno di dire nulla: gli basta essere lì. Presente. Come un padre. Come un artigiano che plasma soluzioni mentre noi dormiamo. Nel suo silenzio c’è tutta la potenza della fede. E nella sua figura, la certezza che non siamo soli neppure nei momenti in cui tutto sembra sfuggirci di mano. È lì che interviene Giuseppe. Quando siamo al limite. Quando non sappiamo più dove sbattere la testa. Quando tutto ci dice che non ce la faremo. Sorprendente, vero? Come Dio ama risolvere i problemi… attraverso un padre che dorme. E sogna. E mentre sogna, salva. Hai mai provato a dormire fidandoti?
Alessandro Ginotta